Due nazioni come Cina e India che guidano verso economie emergenti, e sono i principali consumatori: da sole coprono l’86 per cento di tutto il carbone che viene bruciato per produrre energia nel mondo. Grazie al ripensamento dei due colossi asiatici, il numero di progetti di nuove centrali a carbone è crollato a livelli senza precedenti, dopo una crescita quasi ininterrotta negli ultimi dieci anni, tra il gennaio 2016 e il gennaio 2017 si sono ridotti del 48 per cento.
Un dimezzamento che si può leggere nella tabelle riportate dall’ultimo studio appena diffuso da Greenpeace, Sierra Club e CoalSwarm e che si riferisce ai dati sull’avanzamento dei progetti di nuove centrali elettriche a carbone nei diversi continenti. Questi numeri si riferiscono ai progetti che erano stati annunciati negli ultimi anni o che avevano già ottenuto le autorizzazioni, un anno fa erano pari a 1.100 gigawatt di potenza, mentre ora si sono ridotti a 569 gigawatt. Ancora più elevata la quota di progetti i cui cantieri sono iniziati nel corso dell’ultimo anno, a gennaio 2016 ne risultavano “in corso” per 169 gigawatt, mentre ora si sono più che dimezzati, con un calo del 62 per cento,essendo arrivati a 65 gigawatt.
Salgono le rinnovabili, più che un problema economico, sono soprattutto le ricadute sociali a preoccupare le autorità governative. L’eccesso di inquinamento sta creando proteste oltre che una situazione invivibile nelle grandi aree metropolitane. In alternativa, cresce l’uso delle energie rinnovabili, soprattutto grazie al miglioramento delle tecnologie e al crollo dei prezzi dei pannelli fotovoltaici.
Questo vale soprattutto per la Cina, dove il carbone a basso costo nell’ultimo decennio ha sostenuto la domanda di energia sempre crescente dell’industria. Non per nulla lo studio rivela che dei 600 gigawatt di progetti fermati, la stragrande maggioranza si trova proprio in Cina (441), seguita subito dopo dall’India (82). Greenpeace sottolinea come nel corso del 2016, il governo di Pechino si si limitato ad autorizzare l’apertura di impianti per 22 gigawatt contro i 142 gigawatt dell’anno precedente, con un calo dell’85 per cento.
Anche l’India non è da meno: come ha segnalato il sito specializzato “QualEnergia”, il governo di Dheli è in pieno boom da rinnovabili, avendo appena deciso di raddoppiare la produzione da fonte fotovoltaica entro il 2020. Del resto, la battaglia per l’uso del carbone passa inevitabilmente per i paesi emergenti, come si legge nel rapporto di Greenpeace, il 75% degli impianti di nuova costruzione (al di fuori di Cina e India) si trova proprio in quelle nazioni dove le economie stanno crescendo a tassi più elevati come Turchia, Indonesia, Vietnam, ma anche Egitto, Bangladesh e Pakistan.
Non tutto il quadro è positivo, segnala l’associazione ambientalista.
“Nel rapporto emergono alcuni paesi che non stanno investendo nelle energie rinnovabili e che sono fortemente impegnati a realizzare nuovi impianti a carbone: Giappone, Corea del Sud, Indonesia, Vietnam e Turchia”.
Europa e Stati Uniti invece svolgono un ruolo nel declino del carbone come combustibile per la produzione di energia. In questo caso, più che ai nuovi impianti, si guarda alla dimissione di quelli vecchi, visto che le economie occidentali sono molto più mature rispetto ai paesi emergenti. Greenpeace sottolinea come nel 2015 e nel 2016 sono andati in “pensione” nel mondo occidentali 64 gigawatt di potenza,pari a 120 centrali di medie diemensioni, principalmente negli Usa e nell’Unione Europea. In particolare nel 2016, “sia gli Usa che la Gran Bretagna hanno registrato un forte decremento delle emissioni, mentre Belgio e l’Ontario hanno chiuso la loro ultima centrale, mentre altri tre stati del G8 hanno annunciato una data iltima per il phase out della fonte più nociva per il clima”.
L’Italia, segnala Andrea Boraschi, responsabile della campgna Energia e clima di Greenpeace in Italia, non è tra queste:
“Anche se si vanno dismettendo le centrali più obsolete e non ci sono nuovi progetti, l’età del carbone nons i è ancora conclusa.
Il nostro governo, al contrario di altri, non trova il coraggio di indicare una data ultima per l’uscita dal carbone: è il sintomo più evidente della mancanza di una strategia energetica veramente orientata al futuro e alla salvaguardia del clima”.