Il fallimento dell’osteosintesi, cioè la fissazione dei segmenti ossei di una frattura, è ancora una delle complicanze più temibili in traumatologia ortopedica. Secondo i dati diffusi dall’OMS circa 45 milioni di persone nel mondo, e oltre 400.000 in Italia, sono affette da disabilità permanente secondaria ad un evento traumatico e, in una percentuale molto elevata, tali esiti sono riferibili a traumi occorsi all’apparato muscolo-scheletrico. E’ quanto è emerso nel corso del 12° Trauma Meeting promosso dagli Ortopedici e Traumatologi Ospedalieri d’Italia (Otodi), al quale prendono parte oltre 1.300 esperti italiani e stranieri. Secondo gli ortopedici, considerando le fratture di femore prossimale, che rappresentano uno dei carichi maggiori di lavoro negli ospedali italiani, si comprende come le complicanze siano prevalentemente di natura biologica in presenza di fratture intracapsulari e biomeccaniche in caso di fratture extracapsulari. In quest’ultimo caso, le complicanze legate al fallimento dei mezzi di sintesi raggiungono il 45% circa, essendo notevolmente ridimensionata la percentuale di criticità legate a mancata guarigione. In caso di lesioni complesse di gomito, il tasso di complicanze con esiti definito come invalidanti, che comporta la necessità di un secondo intervento chirurgico, raggiunge valori pari al 60%. Il tasso di complicanze in caso di fratture del pilone tibiale assume una portata notevole quando raggiunge il 2%, rispetto alla necessità di procedere ad un’amputazione di gamba. Per gli ortopedici Otodi, un altro elemento da tenere in considerazione appare quello relativo al numero di casi trattati dal chirurgo. Le percentuali di complicanze presentano valori estremamente variabili, oscillando anche di 50-60 punti percentuale. Ciò appare ascrivibile in primis a morbidità coesistenti o pre-esistenti, si pensi a problematiche sistemiche quali il diabete, patologie vascolari, che inficiano inevitabilmente il decorso post-operatorio.