La Corte costituzionale ha detto sì al referendum anti-trivelle, dichiarando ammissibile uno dei sei quesiti referendari contro le trivellazioni in mare proposti da nove consigli regionali. Il quesito, che aveva già superato il vaglio della Cassazione a differenza degli altri 5 proposti dalle Regioni e bloccati dalla Suprema Corte dopo le modifiche introdotte dal governo con l’ultima legge di Stabilità, tra cui il divieto di trivellazioni entro le 12 miglia marine, riguarda la durata delle esplorazioni e trivellazioni dei giacimenti già rilasciate. L’area concessa ai petrolieri va da Venezia a Pantelleria, da Santa Maria di Leuca alle Isole Tremiti, gioielli del nostro paese che hanno fatto levare gli scudi. Le Regioni (Campania, Puglia, Basilicata, Marche, Sardegna, Veneto, Liguria, Calabria e Molise), 9, dopo il dietrofront dell’Abruzzo, si preparano ora a dare battaglia per gli altri cinque referendum bocciati. Plaudono le associazioni ambientaliste. In un comunicato congiunto Greenpeace, Legambiente, Marevivo, Touring Club italiano e Wwf hanno accolto “il giudizio della Consulta”, sottolineando che esso conferma “l’inefficacia del tentativo del governo di scongiurare il referendum sulle trivelle”. Nelle immagini la protesta di Greenpeace davanti alla piattaforma petrolifera offshore Sarago Mare A, posizionata a soli tre chilometri dalla costa di Civitanova Marche. Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace, allora aveva spiegato: “L’Italia sta svendendo i suoi mari per pochissimi barili di greggio ai petrolieri. Il futuro del nostro turismo balneare, le nostre vacanze, potrebbero essere così, all’ombra di trivelle o piattaforme petrolifere e invece del rumore delle onde potremo ascoltare le esplosioni degli airgun con cui si cercano gli idrocarburi sotto i nostri fondali”.